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Quando la pedagogia non c'è... oppure è rigorosamente "nera"



E' meglio accendere una luce di speranza, piuttosto che maledire il buio, si dice, ma a volte il "buio" va innanzitutto segnalato, circoscritto, denunciato. E davvero di buio si tratta, se pensiamo che il nero è il colore associato al tipo di pedagogia che purtroppo va ancora per la maggiore, in famiglia e nelle istituzioni educative.


Pedagogia nera è un'etichetta che si usa dal secolo scorso per indicare i metodi "educativi" di stampo comportamentista che si servono di punizioni e castighi , ma anche ricatti e minacce, a fini di "correggere" i comportamenti ritenuti erronei di bambini e ragazzi (le virgolette sono d'obbligo). Questi metodi, già messi in discussione da almeno un secolo a questa parte, contemplano in realtà, anche i premi e le lodi, rovescio (solo apparentemente positivo) della medaglia.


Ora, se pensiamo a quello che viene comunemente inteso come "educazione", viene davvero difficile ritenere tutto ciò come insolito, strano o addirittura dannoso. Coi suddetti metodi ci siamo cresciuti un po' tutti, e li mettiamo in atto sistematicamente e inconsapevolmente coi piccoli che ci capitino a tiro. Non bisogna pensare a punizioni corporali, castighi terribili, minacce e ricatti al limite della denuncia (tutte cose che certamente esistono, nei casi più estremi): la pedagogia nera ha meccanismi ben più subdoli e manifestazioni, per così dire, soft. Ad esempio, un "innocuo": "Se non mangi la mamma è triste", oppure il sempreverde: "Fa' il bravo!" (sottointeso: "Fa' come ti dico io e allora ti dirò che sei bravo e dunque meritevole del mio amore") e compagnia.


Come avverte anche la psicologa Antonella Sagone citando Alice Miller, studiosa svizzera cui si devono importantissimi saggi sull'argomento, fra cui "La persecuzione del bambino", questo tipo di approccio è subdolo e manipolatorio, in quanto fa scattare un meccanismo di sottomissione che nasce dal non accorgersi del male subito, il quale viene anzi rimosso, negato per il resto della vita. Ammettere di aver sofferto implicherebbe infatti un "tradimento" nei confronti dei genitori o delle figure educative che hanno causato questo male.

Quel che è ancora più interessante sottolineare è poi il fatto che questa dinamica viene prontamente trasmessa per via intergenerazionale, in una tragica coazione a ripetere che si spezza solo quando l'individuo diventa consapevole dei traumi subiti ed è capace di perdonare chi li ha inferti, in un certo senso smettendo di essere un"bambino ferito" e assurgendo al ruolo di "adulto" al loro pari. Chi riesca a fare ciò, sarà capace di non reiterare lo schema acquisito coi suoi figli (o studenti), aprendosi ad una relazione diversa, basata sulla fiducia, l'empatia e l'amore "incondizionato" (per dirla con Alfie Kohn, che sull'argomento ha scritto un intero libro, "Amarli senza se e senza ma").

Ora, portando il tutto dalle mura domestiche a quelle scolastiche, sarebbe arduo sostenere che le stesse dinamiche non siano più che in voga anche qui, nella scuola "tradizionale", laddove la pedagogia è pressochè sconosciuta, sottovalutata e a volte persino derisa, se non in questa accezione.

Cosa rappresentano infatti i voti (positivi: i premi; negativi: le punizioni), le note, le minacce, i ricatti, le umiliazioni, le lodi che quotidianamente vanno in scena fra i banchi di scuola? E anche qui, la coazione a ripetere porta i docenti a ritenere tutto ciò perfettamente normale e sacrosanto, dal momento che loro stessi sono stati istruiti ed educati in questo modo, prima in casa e poi a scuola: ammettere che questo sistema è non solo fallimentare, ma anche dannoso, sarebbe rinnegare una parte di sè, della propria storia e magari dei propri successi, ed è difficilissimo a farsi. Non è dunque solo per inerzia, pigrizia, abitudine o ignoranza che, a scuola, salvo eccezioni, si ripete stancamente questo copione: cambiare rotta implica un cambiamento e un rinnovamento interiore che costa innanzitutto un grande, un enorme sforzo emotivo.


Ora, sicuramente saranno già scattati i vari: "Siamo cresciuti tutti così, e non è mai morto nessuno". Certo, nessuno muore perchè la sua motivazione interna, la sua autostima, il suo senso morale, persino, vengono a poco a poco corrosi da questi meccanismi. Siamo tutti vivi e vegeti e ci è persino venuta voglia di metter su famiglia e di diventare educatori, nonostante la pedagogia nera!


A guardare in tutta onestà a come vanno le cose, però, direi che non siamo poi così messi bene, a livello generale, e sta' a vedere che, forse forse, la pedagogia nera ci ha fregati un po' tutti.



(Per approfondire il tema, oltre agli autori citati, consiglio la lettura di Emily Mignanelli, pedagogista, formatrice e insegnante)





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