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Immagine del redattoreFederica

Per K. Del perchè la scuola non funziona, secondo me (e non solo)


Domenica scorsa ho incrociato casualmente, praticamente fuori casa, una mia cara ex alunna, K. Non la vedevo da quasi due anni, non considerando due fugaci sortite a scuola durante la maternità, quando ancora credevo che sarei rientrata in servizio sulle classi, che lo scorso giugno hanno terminato il ciclo di studi della secondaria di I grado (per brevità e semplicità "scuola media"). Decisamente più alta e matura, avrei voluto abbracciarla o mostrarle con maggior affetto quanto mi facesse piacere vederla, mentre passeggiava con la madre e il fratellino di 9 anni, che cercava un campetto aperto dove giocare (da solo) a pallone. Ovviamente niente di tutto ciò, nell'epoca Covid, ho dovuto arrangiarmi con le parole e una raffica di domande.

Subito, neanche a dirlo, siamo andate sull'argomento scuola.


"Dove sei ora, che scuola fai?".

"Vado al F., sociosanitario... Beh, sa che mi piace stare con le persone... E poi visto i voti che avevo... Sono uscita col 6..."...

"Ah, bene e ti piace?".

"Sì, mi piace tantissimo, e vado molto meglio che alle medie. Poi, con la sua grammatica, ho preso 9 e 1/2 nella verifica, non ci credevo...".


E poi, dopo il sintetico racconto delle non fortunate vicissitudini avute nella ex "nuova classe", quella frequentata lo scorso anno dopo il suo trasferimento in un paese vicino, almeno fino alla chiusura delle scuole di febbraio:


"E il disegno? Disegni ancora?".

"Sì... cioè poco, quando ho tempo. Ma ne ho proprio poco" (viste le attuali 5 o 6 ore di "DAD" cui seguono, immagino, quelle dedicate ai compiti e allo studio).

"

Come al solito, c'è il livello del "detto" e quello del "non detto". E spero tanto di sbaglliarmi, ma le parole di K. mi sono parse, a tratti, le parole di altri: le parole degli insegnanti che l'hanno giudicata e le hanno consigliato una scuola che spero tanto le piaccia davvero, che spero tanto alla fine farà per lei (lei che ancora "non ha capito" in cosa consista la materia d'indirizzo, "Metodologie operative"), ma che dubito avrebbe scelto, in piena libertà e consapevolezza. Lei che amava (ama?) disegnare e "creare" più di ogni altra cosa, che mi diceva di passare molte ore a farlo, a casa, coi materiali di fortuna raccimolati qua e là, venendo spesso rimproverata dai genitori e dalle sorelle maggiori perchè così "si perdeva" e non studiava. Lei che, nella sua ingenuità di ragazzina pure più piccola di un anno rispetto agli altri, mi aveva detto, a poche settimane dall'inizio della scuola, di aver già pensato al vestito da realizzare per quando mi sarei sposata (cosa che per inciso non è ancora successa!).


Non ho potuto fare a meno di pensare, una volta di più, a quanto la scuola (le scuole, avendone frequentate due, nei tre anni) abbiano inciso nella sua scelta, che certo già era condizionata (se non segnata) dall'inizio dal contesto familiare. Non posso fare a meno di pensare che mi sarebbe piaciuto sentire un altro racconto, che sarebbe bello, ora, immaginare e scrivere qui...


Un racconto che non parla di voti e frasi "da grandi" messe in bocca a una 13enne, di un'aria rassegnata e di una situazione sociale e culturale essenzialmente rimasta allo status quo, bensì di slanci, di concrete possibilità, di un talento scoperto e fatto crescere, di realizzazione e soddisfazione personale.

Una storia che vede il ruolo decisivo di una scuola che accoglie, incoraggia, sostiene, si batte perchè l'altra "agenzia educativa" ( come la chiamano) la famiglia, faccia lo stesso.


Una scuola "ascensore", che porta in alto, fino alle stelle, fino ai sogni, e che educhi al valore della passione, dell'osare, almeno a 13 o 14 anni.


Una scuola che non è alleata dei genitori solo quando c'è da tarpare le ali e che si prende il tempo, il "lusso" di conoscere davvero i suoi ragazzi (anche se le classi sono troppo numerose e i docenti vanno e vengono, soprattutto nelle materie "minori").


Una scuola che considera un fallimento quando una ragazza o un ragazzo smettono di farsi domande, di essere curiosi, di disegnare, suonare o coltivare qualsivoglia passione li abbia animati fino a quel momento.

Una scuola che mira a preservare la straordinaria gamma di inclinazioni e specificità individuali senza omologarle, che non fa credere di "essere" un 6, un 8 oppure un 10.

Una scuola molto diversa da quella che la stragrande maggioranza dei bambini e dei ragazzi vive quotidianamente, e che conosce schermi e filtri ben più pericolosi, perchè invisibili e spesso impossibili da spegnere, di quelli della DAD, che oggi fanno tanto discutere.

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