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Immagine del redattoreFederica

L'infanzia tradita è sotto i nostri occhi



Guardiamo un bambino.


Guardiamolo, non “vediamolo” soltanto.


Osserviamo i suoi occhi vispi e instancabilmente attenti, scrutatori. Due specchi che a volte, diciamolo, ci sembrano persino molesti, nel loro scavarci a fondo.


Ascoltiamo la sua risata contagiosa, stridula e spesso irrefrenabile, che amiamo anche quando ci pare diventare eccessiva e inopportuna.


Ammiriamo i suoi piedini ancora “cicciotti”, le pieghe sulle braccia e le gambe - quei famosi “braccialetti” orgoglio delle nonne - la schiena dritta, l’incedere che si fa sempre più franco e sicuro e ci ammalia, nella sua animalesca perfezione.


Prendiamo del tempo per imprimere le sue fattezze nella memoria, consapevoli tuttavia che il ricordo svanirà presto, perchè i genitori devono guardare soprattutto avanti, non c’è tempo per indugiare troppo…


Quel piccolo essere che ha cambiato, stravolto, arricchito loro la vita non aspetta, non ammette esitazioni: anche quando il tempo si dilata e pare diventare infinito, immobile, esso scorre veloce e inesorabile, gareggiando col bambino a chi arriva per primo.


Non ci sarà più un suo “secondo giorno di vita”, nè avrà tre mesi, o sei, poi dodici o trentasei per sempre.


Non faremo in tempo a portare in soffitta il seggiolone, o il fasciatoio, o il lettino (ammesso che li avremo usati), che sarà tempo di pensare alla scuola, ai compiti, alle festicciole con gli amici.


Questo un genitore lo sa. E se ne dispiace, anche quando la fine di certe “fasi” fa tirare un sospiro di sollievo.

Spuntare una “voce dell’elenco” (allattamento… svezzamento...camminare...dentizione… spannolinamento...inserimento al nido…) ha il sapore agrodolce di chi ha sperato tanto che qualcosa finisse solo per sentirne immediatamente la mancanza.


Ma ci sono anche tante cose che i genitori non sanno, nonostante tutti i libri, e i siti internet, e i corsi, e i negozi che magari frequentano una volta saputa “la novità”. Anzi, a volte proprio a causa di tutto ciò.

Si potrebbe dire che non si finisce mai di imparare, ma alcune cose non ammettono ignoranza. O, almeno, non dovrebbero.


“Beh, ma le madri e i padri non sono soli, ci sarà chi li guida, il ginecologo, l’ostetrica, il pediatra, specialisti vari, fino poi ai loro stessi genitori, magari zii e nonni, amici e conoscenti… I figli li hanno avuti tutti, no? E tutti sono diventati grandi…”.


Certo, si diventa grandi, ma a contare è il “come”.

In un mondo sempre meno a misura di bambino (e di famiglia) adottare un comportamento piuttosto che un altro può fare la differenza, in termini di salute, benessere e serenità, sulla breve distanza come per tutta la vita. Non tutte le soluzioni sono equivalenti, e il tiro non si può sempre aggiustare in corsa.

Che lo vogliano o meno, escludendo situazioni particolari, ai genitori tocca la scelta; dovrebbe essere scontato che, per scegliere, bisogna prima informarsi, e bene, sapendo almeno dove cercare e venendo magari aiutati a farlo (innanzitutto recependo un’informazione, come si dice, “trasparente”). Scontato quanto è naturale, d’altra parte, pensare a una famiglia inserita in una comunità, in cui ognuno dà il suo contributo alla causa dell’infanzia: se non tutti hanno figli, infatti, è sicuro che però sono stati bambini, e che i piccoli saranno il futuro di ciascuno. Anche chi non è madre e padre ha e avrà per sempre a che fare con “ex bambini”, la cui personalità, le cui capacità e la cui realizzazione saranno dipese dalla famiglia, dalla scuola, dagli incontri e le esperienze fatti lungo il cammino. Dalla società intera e dal suo modo di guardare e avere a che fare con l’infanzia, insomma.


Purtroppo la realtà dimostra che le cose stanno in modo ben diverso: il “villaggio” che, secondo il noto proverbio africano, serve a crescere un bambino, si sta restringendo sempre più, dal punto di vista relazionale ma anche fisico (questo ben prima dei tempi “covidici” e del distanziamento sociale).

Nonostante gli indubbi passi in avanti, ne resta davvero tanta, di strada da fare, sia sul fronte dell’informazione sia su quello del supporto necessario per tradurre la teoria in pratica.


Parole ed espressioni come “infanzia negata”, “diritti dei bambini non rispettati”, “repressione dell’infanzia” o simili evocano subito storie atroci di violenza, soprusi e sopraffazione. Di bambini diventati adulti troppo in fretta, di piccoli segnati per sempre nel corpo e nell’animo.

Senza sminuire nè dimenticare tali situazioni, è doveroso tuttavia dire che ad essere “segnati” possono essere (e sono sempre di più) anche i bambini sgambettanti che ci sfrecciano accanto sul marciapiede, quelli che vediamo al parco giochi o incontriamo al supermercato o al ristorante, almeno nel nostro “evoluto” e opulento mondo occidentale.

Gli “insospettabili”, insomma, i “perfettamente normali”.


Bambini vestiti di tutto punto, dotati dei più tecnologici e accattivanti gadget e giocattoli; bambini con famiglie modello, che riempiono spesso le pagine dei social network coi loro sorrisi e le loro vocine riprese con l’ultimo modello di cellulare o il tablet.


Bambini nati in ospedali all’avanguardia, dopo una gestazione seguita passo dopo passo a suon di ecografie ed esami sempre più sofisticati, che trascorreranno magari il loro tempo in contesti d’eccellenza, fra tate bilingue e occasioni di “socialità e svago” programmate in ogni dettaglio che i loro nonni e bisnonni non avrebbero mai nemmeno potuto immaginare.


Bambini rinchiusi entro gabbie dorate e a poco poco “neutralizzati” fino a “non dare più fastidio”.


Bambini che nascono sempre meno in maniera fisiologica, anche senza che vi siano condizioni tali da impedirlo, e cresciuti poi in maniera altrettanto innaturale, tra farmaci inutili, schermi sempre accesi, dentro vestiti e scarpe (anche a poche settimane di vita!) belli per l'occhio ma del tutto inadeguati al loro sviluppo psicofisico.


Bambini privati della natura, della libertà, della noia, della spensieratezza, con un "Muoviti!", "Zitto!", "Ascolta!", "Non ti muovere!", "Non osare piangere!" che pende sempre sulla loro testa, a casa come a scuola.


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