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Immagine del redattoreFederica

Fra DAD e DID... siamo sicuri che il problema siano il "digitale" e la "distanza"?!

E' da fine febbraio, appena prima del lockdown (sì, quando vivevamo spensierati persino ignorando questa parola, oltre che l'avanzata di quello che ormai si chiama ed è, per eccellenza, "il virus"), che penso alla grande, grandissima occasione che la scuola (parlo soprattutto di quella pubblica, pur non escludendo le altre) mi pare abbia gettato, nella stragrande maggioranza dei casi, alle ortiche.

Certo, chiamare "occasione", "opportunità" quella offerta da una pandemia a qualcuno sembrerà una bestemmia, eppure il Covid l'ha servita su un piatto d'argento. Forse però in questo piatto lucente qualcuno ha pensato principalmente a specchiarsi, buttando via frettolosamente ciò che conteneva, sicuramente atterrito da cotanta "portata".


"Speriamo che stavolta la scuola cambi davvero", avevo scritto in una email mentre vivevo gli ultimi giorni di "maternità facoltativa", aggiungendo persino un "finalmente". Non mi pareva di esprimere alcunchè di così rivoluzionario, eppure, alla luce di tutto quanto è accaduto poi (a livello micro e soprattutto macro) si è trattato di una frase quasi profetica, se Cassandra, il personaggio omerico condannato a vaticinare senza essere mai ascoltato, può essere annoverata fra i profeti.


Sia ben chiaro: non mi sto arrogando nessun merito particolare, ma mi fa specie pensare che nessuno o quasi dei miei colleghi afferrò quanto intendessi, o che comunque nessuno si premurò di darmi una risposta, positiva o negativa, in merito.


Gli eventi hanno poi preso, nel giro di pochi giorni che si sono poi trasformati in settimane e quindi mesi, una piega talmente grottesca che quelle parole sono rimaste, beffarde, nella mia testa, come un monito inascoltato e del tutto fuori luogo, almeno per le "logiche" scolastiche. Non è un caso che poi fuori luogo mi sono talmente sentita pure io, quando sono poi tornata per qualche settimana "a distanza", da decidere, la scorsa estate, di prendere una lunga pausa di riflessione chiamata aspettativa non retribuita per valutare il "da farsi" (senza farne una questione legata alla scuola particolare in cui lavoravo: ad essere in discussione è l'intero "sistema scolastico", quello tradizionale, in cui del resto mi riconoscevo anche io, fino a non molti mesi fa ).


Cosa intendevo con quella frase? A quale cambiamento pensavo? A quanto si sarà forse realizzato in un 1% dei casi, ovvero: disfiamoci finalmente della valutazione (del resto ancora più insensata, in questo contesto "a distanza" e "pandemico"), facciamo di necessità virtù (o buon viso a cattivo gioco, scegliete il proverbio che vi pare) e cogliamo tutto quanto sta accadendo come un'occasione, come si diceva prima, come un'irripetibile opportunità di cambiamento, di mettersi alla prova, di fare un esame di coscienza (noi che la scuola la "offriamo") e di costruire qualcosa di nuovo, dimostrando agli alunni che la scuola (oggi direi piuttosto l'istruzione e la cultura, ma questa è un'altra storia...) è non solo importante, ma vitale. Facciamo sì che gli alunni la rimpiangano, non solo per quanto riguarda la socialità e gli aspetti più "effimeri", dimostriamo loro che si può contare su di essa, o almeno sulle persone che la animano; strappiamoli dal distanziamento fisico e sociale e indichiamo loro la via anche per quanto riguarda l'uso delle tecnologie, intelligente e motivato. Se le famiglie non sanno e non possono, in moltissimi casi, fornire un supporto (psicologico, pedagogico, relativo alla spiegazione di quanto stia accadendo e alla sua narrazione bombardante) facciamolo noi: dimentichiamo il programma, (che neanche dovrebbe esistere ed essere più nominato), per farlo... sì, ORA, O... MAI PIù!


Quello che è accaduto nella realtà, almeno nel 99% dei casi, è per me talmente misero e doloroso che quasi vorrei tralasciarlo. Accennerò soltanto ad un accanimento nella valutazione (come si diceva ancora più sfuggente, aleatoria e ardua, per il docente armato di tutto punto ma del tutto impotente, con le armi spuntate, di fronte allo schermo del PC), che tutto ha realizzato fuorchè il ragionevole proposito di smetterla, almeno in questo contesto stravolto, con l'ossessione del voto; all'esasperazione del compito a casa e della giornata scolastica basata sulla lezione frontale e la didattica "trasmissiva"; alla caccia al ladro e all'asino di collodiana memoria; insomma al vano quanto stolto tentativo di proporre un modello che già faceva acqua da tutte le parti attraverso lo schermo del computer, del tablet e del telefonino (non ragiono qui sulla questione altrettanto grottesca delle dotazioni tecnologiche: mi limiterò a osservare che spesso il tutto è stato liquidato fornendo tali apparecchi a chi ne fosse privo o non sufficientemente fornito, tappando un buco in un muro di mattoni con del nastro adesivo...).


Come osservato, sebbene parzialmente, anche in un articolo recentemente apparso sul Corriere, che mi ha fatto quasi urlare al miracolo (https://www.corriere.it/scuola/secondaria/20_ottobre_26/non-didattica-digitale-che-crea-diseguaglianze-scuola-presenza-che-non-sa-colmare-c0c41416-1779-11eb-a554-aa444d891737.shtml?fbclid=IwAR2gfukSDNV-wKUcarLPmL0rTd0CKNUgMplNyV9a65c8EgFVz340aI1wwuA) la DAD - recentemente ribattezzata in DID - ha solo scoperchiato, non creato ex novo, una situazione già di per sè paradossale in corso nella scuola pubblica, rendendo palesi le storture e contraddizioni di un sistema a dir poco stantio, che si basa essenzialmente sulla coercizione.

Quando questa viene a mancare, a causa della lontananza "dagli occhi e dal cuore", come già sapevano gli antichi (mi vengono sempre in mente "I due fratelli" del commediografo latino Terenzio, chissa perchè) il sistema crolla, perchè non vi è (quasi) null'altro alla base.


E quanto la cieca e ipocrita obbedienza, che sconfina, appena la catena si allenta, nel raggiro della dura legge, abbia effetti devastanti per il singolo e la comunità, credo sia sufficientemente sotto gli occhi di tutti, di questi tempi.





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